Giovanni Agnoloni è laureato in Legge; è traduttore, scrittore e blogger.
Ha tradotto dall’inglese e dal francese i saggi: Il miracolo dell’acqua, di Masaru Emoto (Il Punto d’Incontro, 2007); Tolkien. La Luce e l’Ombra, sua curatela (Senzapatria, 2011), La saggezza della Contea di Noble Smith (Sperling & Kupfer, 2012); (con Floriana Pagano) La cassa del Vaticano di Jason Berry (Newton Compton, 2012); (con vari colleghi) Il gangster. La vera storia di Mickey Cohen di Tare Tereba (Newton Compton, 2013); l’autobiografia di Mike Tyson True – La mia storia (Piemme, 2013). Ha co-tradotto dallo spagnolo (con Marino Magliani) Bolaño selvaggio, a cura di Edmundo Paz Soldán e Gustavo Faverón Patriau (Senzapatria, 2012). Si è inoltre occupato della traduzione di varie guide turistiche della Lonely Planet, delle Rough Guide e del National Geographic Traveller e ha collaborato a lungo con il Gabinetto Vieusseux, traducendo dall’inglese e dal francese articoli di natura storico-scientifica. In uscita tra il febbraio e l’aprile del 2014, editi da Mondadori, due volumi storici su Gallia Lugdunense e Gallia Belgica, nell’ambito della serie Roma e l’Impero, in uscita in edicola in allegato al “Sole 24 Ore”, a “Panorama” e a “TV Sorrisi e Canzoni”. Appena uscito anche il volume di scritti di Papa Francesco Siate forti nella tenerezza (Rizzoli, 2014). Nell’ambito della narrativa, ha tradotto dallo spagnolo i romanzi Non lasciar mai che ti vedano piangere (Anordest, 2012) e Le porte della notte, dell’autore cubano Amir Valle (Anordest, 2013), e dall’inglese i romanzi Nel cuore oscuro del male di Peter Straub e The Surrogate, di Tania Carver (Anordest, 2013). Lavora anche come traduttore tecnico, negli ambiti legale, commerciale, pubblicitario e turistico.
Come scrittore, ha pubblicato i romanzi Sentieri di notte (Galaad, 2012), ora edito anche in lingua spagnola (con la Editorial El Barco Ebrio, co-tradotto da lui stesso e dallo scrittore cubano Amir Valle) e Partita di anime (Galaad, in uscita il 20 marzo 2014); i saggi Tolkien e Bach. Dalla Terra di Mezzo all’energia dei fiori (Galaad, 2011), Nuova letteratura fantasy (Eumeswil e Sottovoce, 2010) e Letteratura del fantastico. I giardini di Lorien (Spazio Tre, 2004). È redattore dei blog La Poesia e lo Spirito e Postpopuli ed esponente del movimento letterario del Connettivismo (ha partecipato all’antologia connettivista, a cura di Sandro Battisti e con la partecipazione di Valerio Evangelisti, AFO – Avanguardie Futuro Oscuro, Kipple Officina Libraria, 2010). Suoi racconti e reportage di viaggio sono sui blog Nazione Indiana e Scrittori precari, sul sito AlibiOnline e sul quotidiano Corriere Nazionale.
Ciao Giovanni. Benvenuto. Anche a te facciamo la domanda di rito: come procedi quando ti viene commissionata una traduzione?
Nella prima stesura cerco di sincronizzarmi con il flusso della traduzione, ovvero di non “incagliarmi” su singoli termini o espressioni particolarmente ostici, per cui faccio sì adeguate ricerche sul significato, ma non a discapito della continuità del lavoro. Poi, nella seconda stesura, dove rileggo e controllo frase per frase e parola per parola, scendo nello specifico. Infine, la seconda rilettura – a cui, se c’è tempo, segue anche una terza – avviene solo in italiano (ovvero nella lingua di destinazione, ché traduco anche verso l’inglese e lo spagnolo), e qui curo in particolare la letterarietà, la fluidità e la godibilità del testo.
Che tipo di conoscenze dovrebbe avere secondo te un traduttore editoriale?
Beh, ovviamente della lingua di partenza e della lingua di arrivo. Aggiungerei una sensibilità stilistico-letteraria, cosa nel quale l’essere anche scrittori certamente aiuta. E poi la capacità di lavorare rapidamente, ché il tempo non è mai tantissimo.
Ci racconti il tuo esordio da traduttore?
Da traduttore in assoluto, fu una traduzione tecnica assegnatami da Roberta Altamura, una collega – e oggi ottima amica – nel 2003. Come traduttore editoriale, fu il volume Il miracolo dell’acqua, di Masaru Emoto. Fu come avanzare in un territorio vergine. Fortuna che avevo già un buon machete, che poi nel tempo ho imparato ad affilare.
Hai tradotto, tra le altre cose, molti saggi di tipo divulgativo; qual è la cosa più importante da fare, quando si traduce questo tipo di testi?
La prima cosa che mi viene in mente è entrare dentro il testo, il che significa – idealmente – avere una conoscenza specifica di alcuni degli aspetti tecnici (intendo dire: storici, giuridici, economici o che altro) dell’argomento trattato. Ma questo non è strettamente necessario, nella misura in cui, con spirito umanistico, ci si addentra sul momento nei meandri delle argomentazioni dell’autore. Quando ho co-tradotto La cassa del Vaticano, le conosce giuridiche dovute alla mia laurea in Legge mi hanno sicuramente aiutato a districarmi nelle complesse vicende giudiziarie legate ad alcuni scandali sessuali e finanziari di esponenti della Chiesa, ma al di là di questo c’è stata una full immersion nel testo, che è quanto cerco sempre di fare. E poi, in questo tipo di traduzioni, è importante adottare un linguaggio di stampo giornalistico o storico, concreto e “stuzzicante”, che, senza mai alterare il contenuto del testo originale, aiuti il lettore a calarsi dentro l’argomento.
Che tipo di approccio hai nella traduzione? Qual è per te la priorità?
Banalmente, cercare di far presto e bene. Le tempistiche non sono mai particolarmente ampie, per cui bisogna make the most della prima stesura, procedendo spediti e, al tempo stesso, il più esatti possibile. Poi si passa a definire il “fuoco” nella seconda stesura, che è anche la prima revisione, specificando e rendendo incisivo – come dicevo sopra – il lessico. In definitiva, scrivere un bel testo.
Cosa ti piace di più del tuo lavoro?
La sua letterarietà. Per me tradurre è una variante della scrittura, che è la mia vera identità. Sono uno scrittore che traduce, e per me tradurre è un bellissimo esercizio di scrittura, ma al tempo stesso la scrittura mi aiuta a definire sempre meglio il mio linguaggio scrittorio in senso – oserei dire – subcreativo. Mi rifaccio alla lezione di Tolkien, che, riferendosi al pensiero di un altro Inkling, il filosofo Owen Barfield, affermava la necessità di risalire, con il linguaggio letterario, alla sorgente del significato delle parole, quando esse facevano tutt’uno con il loro oggetto semantico ed erano cariche di una straordinaria pregnanza; così si può riuscire a trasportare e far sentire lì il lettore, quando si scrive – e, aggiungo io, si traduce – una storia. Penso che tanto tradurre quanto scrivere cose proprie significhi immergersi in questa dimensione profonda e spesso nascosta, dove si sente, prima della parola, la vibrazione emotiva (e intellettuale) che essa emana – anzi, di cui essa è espressione. È come pensare in musica, dove i suoni sono i significati, e le note le parole.
Come ti aggiorni?
Credo di farlo con tutto, dato che il mio tempo è pienissimo: traduzioni, scrittura, presentazioni di libri, conferenze e lettura, nonché le tante recensioni e interviste che faccio in rete che mi riempiono piacevolmente il tempo e mi arricchiscono continuamente. Tutto, anche le banalità, come due chiacchiere scambiate con uno straniero sul tram, può servire. E, soprattutto, la lettura e il pensiero multilingue. Faccio un esempio: io studio polacco, la mia quinta lingua straniera, ma spesso mi trovo a esercitarmi anche con le mie lingue di lavoro – l’inglese, lo spagnolo, il francese e il portoghese – immaginando, magari durante una passeggiata ossigenante, come dire una certa cosa in ognuna di esse. E la mattina (tardi, perché spesso lavoro di notte) faccio ginnastica ascoltando notiziari stranieri. Oppure, a notte fonda, dopo una giornata di lavoro, guardo dei film in lingua originale. E converso il più spesso possibile, compatibilmente con gli impegni, con stranieri residenti o in visita a Firenze. Insomma, il mio lavoro, nella sua non-soluzione di continuità tra scrittura e traduzione, è un continuo meditare e creare con le parole. Il mio stesso romanzo Sentieri di notte, nella sua versione spagnola Senderos de noche, è nato da una gestazione di questo tipo. Forse è stata l’esperienza di sintesi di scrittura e traduzione più potente che abbia mai vissuto.
Cosa ti piace di meno del tuo lavoro?
Detesto il dover correre, quando le scadenze sono opprimenti. Ma fa parte del gioco. Essendo un perfezionista, soffro al pensiero che il proverbio “Presto e bene non stanno insieme” produca i suoi danni. E a volte mi logoro veramente, nella revisione. Ma ce vo’.
Come influisce la tua carriera di scrittore sul lavoro da traduttore?
Ho già parzialmente risposto prima… Dico però un’altra cosa. Quando mi chiedo se sarei comunque contento se potessi vivere solo grazie alla scrittura, mi rispondo: “Ovviamente sì, ma non tradurre mi dispiacerebbe molto, quindi penso proprio che continuerei a farlo”. E comunque il problema non si pone. Per il resto, ormai il mio lavoro è un unicum scrittorio-traduttivo, un continuum inscindibile. Non penso che avrei idee brillanti o che troverei soluzioni stilistiche speciali, se scrivessi e basta. E credo che, come traduttore-non-più-scrittore, avvizzirei. Al contrario, i continui (e in realtà solo apparenti) spostamenti di baricentro da uno all’altro polo dell’attività aiutano a prendere le distanze, a vedere le cose da un’altra prospettiva e a definire sempre meglio la ricerca del centro espressivo, quel nucleo di intelletto e passione che è garanzia di un testo di qualità.
Che rapporto hai con gli scrittori che traduci? E con le case editrici?
I rapporti con le case editrici e gli altri clienti sono in genere cordiali. Quanto agli autori, conosco personalmente e sono un grande amico di Amir Valle. Ci siamo conosciuti a Berlino, dove lui vive, nell’agosto del 2011, quando avevo iniziato da poco a tradurre Non lasciar mai che ti vedano piangere, suo romanzo poi uscito con le Edizioni Anordest. Amir mi ha sempre dato preziosi consigli, soprattutto sulle espressioni tipicamente cubane del suo spagnolo, e conoscere la sua storia di esiliato e le sue testimonianze in presa diretta delle gravi realtà che i cubani si trovano ancor oggi a dover affrontare a causa della situazione politica del loro paese, ha caricato di un’intensità speciale le pagine che ho scritto traducendo in italiano anche un suo secondo libro, sempre edito da Anordest, Le porte della notte. E infatti ho dedicato a lui lo spin-off Partita di anime. Ho anche avviato una piacevole comunicazione tramite posta elettronica con Noble Smith, scrittore americano autore de La saggezza della Contea, un saggio sulla filosofia di vita semplice e sana degli Hobbit della Terra di Mezzo, ma solo dopo che avevo consegnato il lavoro. Devo dire, però, che già scrivendolo mi ero calato senza problemi nella sua visione del mondo di Tolkien (a cui sono addentro da anni, per via dei numerosi saggi che ho scritto sull’argomento). Quanto a due noir di Peter Straub e Tania Carver, non ho avuto contatti diretti, ma per tradurre i loro thriller ho fatto un utilissimo – anche come scrittore – esercizio di mimesi, calandomi (con un certo sforzo, viste le vicende) nel punto di vista dei personaggi e lavorando sul mio lato investigativo. La traduzione, in fondo, è un po’ come uno spartito musicale da interpretare, e sentire il testo significa anche sentire il tema (nel caso dei saggi, soprattutto) e sicuramente sentire l’autore. Siccome è appena uscita con Rizzoli la mia traduzione di Siate forti nella tenerezza, una raccolta di scritti di Papa Francesco, non mi resta che aspettarmi di “sentirlo”… per telefono.