(intervista di Rossella Monaco)
Buongiorno, Marcella, grazie di aver accettato l’intervista. Negli anni, tra le altre cose, ti sei occupata della traduzione di testi ad argomento enogastronomico. Quale approccio è richiesto a questi testi rispetto ad altri?
Buongiorno. Grazie a voi per avermi offerto la possibilità di confrontarmi con altri colleghi.
La traduzione enogastronomica è particolarmente interessante per me, appassionata di cucina e di tè. Ma rappresenta una sfida notevole perché è un campo solo apparentemente semplice. Come tutte le traduzioni richiede una conoscenza enciclopedica che permetta di sapere cos’è lo zucchero bruno (non è quello di canna) e il diverso valore in grassi della panna o la differenza fra il latticello italiano e il buttermilk americano. Ma soprattutto deve includere non solo le diverse varietà degli alimenti, ma anche il loro diverso valore culturale.
Per il resto l’approccio credo sia simile a una qualsiasi altra traduzione. Molta ricerca, analisi del contesto, forse una minore analisi del testo. Una sua peculiarità è che l’enogastronomia è, o può essere, a metà strada fra una traduzione tecnica e una editoriale.
Quali sono gli errori più frequenti che chi traduce questo tipo di testi si trova a fare?
Questa è una domanda complessa perché credo dipenda dal traduttore. L’importante è non dare per scontata la propria conoscenza della materia. È facile cadere nella trappola dei falsi amici o non rendersi conto di differenze sottili negli alimenti. Altre volte non ci si rende conto della peculiarità della terminologia o della difficoltà di ricerca di una buona soluzione.
Come relazionarsi con le riviste e i redattori editoriali? Quale consiglio daresti al traduttore che si trova a lavorare con una redazione?
Il redattore è dio. Scherzi a parte, anche se nessun redattore può conoscere il testo allo stesso livello del traduttore che lo ha analizzato, alla fine le scelte editoriali sono sue. Sua la responsabilità verso la rivista o la pubblicazione. Nei casi ideali c’è un dialogo vero fra i due, per cui il traduttore può spiegare il perché di alcune scelte. Purtroppo capita anche che un redattore modifichi il testo senza passare dal traduttore.
Come hai scelto di dedicarti a questo settore? Quali studi hai fatto?
Ho sempre voluto fare il traduttore. Mia madre ha fatto diversi sacrifici per permettermi di seguire il mio sogno. Dalle esperienze all’estero è nata la passione per le culture straniere. Dopo la laurea in lingue, ho fatto alcuni corsi post laurea in traduzione e ho iniziato a lavorare prima con una cooperativa di traduttori tecnici poi con un service editoriale. La passione per la cucina invece è nel sangue. Ho avuto la fortuna di poter unire questi due amori.
Puoi farci un esempio di difficoltà di traduzione in testi dedicati alla cucina?
Mi perdonerete una generalizzazione dovuta al fatto che ogni lavoro è diverso, come è diverso ogni traduttore. Credo che la difficoltà maggiore sia quasi sempre la terminologia. Uno dei testi che ricordo con più ansia è la traduzione di un libro di cucina giapponese, pubblicato ad Hong Kong in lingua inglese. Tirare il filo della matassa sulla terminologia ittica è stato complicato. Alcuni nomi comuni rappresentavano centinaia di tipi diversi di pesce. Alla fine del lavoro mi sono sentita un po’ uno strano mix di bibliotecario e detective. Esilarante. Dopo, naturalmente…
Credo comunque che in realtà i problemi traduttivi siano sempre gli stessi, anche in questo caso sono un misto di difficoltà da traduzione tecnica e non: terminologia, problemi di gabbia, adattamento ecc. In un certo senso le traduzioni sono come i pancake, gli ingredienti di base sono sempre gli stessi, ma cambia la percentuale ed otterrai quelli britannici, americani, olandesi o finlandesi…
Oggi sei soprattutto web editor, come si intreccia questo lavoro con quello del traduttore?
Per diversi anni ho seguito le due strade contemporaneamente, poi è piano piano prevalso il ruolo di redattore di siti. Ma credo onestamente di dover molto al mio lavoro di traduttore svolto per la maggior parte negli anni ’90. È stato questo lavoro infatti a spingermi a conoscere a fondo il web, mezzo assolutamente necessario per un traduttore.
Scrittura e traduzione in che rapporto sono, a tuo parere?
Qui mi è sfuggito un sorriso. La traduzione è scrittura, la scrittura è una forma di traduzione.
Qual è l’ultimo libro che hai letto?
Io leggo una quantità abissale di libri all’anno, di diversi generi, in particolare fantasy, ma non disdegno quasi nulla, neanche il romance. Sono veramente onnivora. Al momento sto leggendo Tea: History, Terroirs, Varieties e ho finito da poco Eats, Shoots and Leaves. Mai riso così tanto. Se siete curiosi di sapere quali libri legge un traduttore per lavoro, su Goodreads trovate la mia biblioteca professionale.