Ciao Sara, in genere ti occupi di traduzione editoriale dal francese e dall’inglese di saggistica divulgativa, narrativa, cataloghi d’arte e testi teatrali. Qual è il tuo approccio su ognuno di questi differenti testi?
Per quanto riguarda i libri di saggistica e narrativa l’approccio è abbastanza simile: cerco di farmi un’idea il più possibile precisa del testo e della voce dell’autore (che in realtà poi scopro solo a mano a mano che procedo con la traduzione) e mi affido moltissimo alle riletture che faccio prima di consegnare, quando davvero so com’è fatto il testo e che ritmo ha la lingua. Quando traduco un testo per il teatro invece lo leggo tutto prima di cominciare, e soprattutto rileggo ad alta voce la mia traduzione, anche molte volte, se il tempo a disposizione lo permette. Sentire la parola che prende forma nella sua concretezza mi serve per capire se quello che ho scritto è adatto o no a essere recitato.
Qual è la caratteristica più importante che un traduttore editoriale dovrebbe possedere?
Mi vengono in mente tante caratteristiche: la capacità di lavorare in solitudine, un certo rigore, l’orecchio che ti permette di sentire la voce dell’autore. Ma penso che prima di tutto sia necessaria un’ottima conoscenza della lingua italiana.
Dove preferisci lavorare quando traduci?
A casa mia, assolutamente. Faccio molta fatica a lavorare se sono in giro. Lo faccio per necessità, ma se posso decidere, il mio posto nel mondo è il mio studio, la mia scrivania, la mia finestra sui tetti.
Ci vuoi raccontare il tuo esordio da traduttrice?
Dopo la specializzazione alla Scuola dell’Agenzia Formativa Tuttoeuropa di Torino ho contattato la casa editrice francese di un romanzo che avevo studiato all’università, e quando mi hanno risposto che in Italia era ancora inedito ho cominciato a mandare una prova di traduzione e la scheda di lettura a case editrici che traducono narrativa francese o francofona. Dopo parecchi mesi (quasi un anno, durante il quale ho lavorato in uno studio editoriale) mi ha risposto una piccola casa editrice di Firenze, che ha accettato la mia proposta e mi ha affidato la traduzione.
Puoi farci un esempio di una difficoltà che mentre traducevi ti sembrava insuperabile, e che poi hai risolto?
Ricordo molte difficoltà legate alla terminologia durante la traduzione di un libro di saggistica scientifica dall’inglese, che in alcuni casi ho risolto iscrivendomi a forum di appassionati. Per esempio un forum di amanti dei pesci tropicali, perché non riuscivo a tradurre un elenco molto lungo di nomi di pesci rossi rarissimi.
Come dovrebbe essere la relazione ideale tra traduttore e redazione, secondo te?
Quella ideale è fatta di scambio e dialogo continuo, di riletture incrociate e confronto diretto sul testo. Nella realtà sono condizioni che non sempre si verificano, anche solo per una questione di tempi serrati.
Come ti approcci alla fase di revisione del tuo testo da parte di un revisore, in genere?
Se percepisco che gli interventi migliorano il testo e correggono le mie sviste o gli errori sono assolutamente grata al revisore, che ha un ruolo essenziale da cui non si può prescindere.
Un consiglio ai traduttori alle prime armi?
Avere molta pazienza e seguire seminari o andare alle fiere editoriali a sentire gli incontri sulla traduzione, perché insegnano tantissimo. Sono utili sia perché possono suggerire delle linee guida dove sembra che manchi una strada precisa da seguire, sia perché arricchiscono enormemente offrendo un punto di vista che per forza di cose non hai, se traduci da poco o non hai mai tradotto.
Qual è l’ultimo libro che ha letto?
Le Lettere senza risposta tra Giorgio Manganelli e Viola Papetti (Nottetempo), una corrispondenza strana, spesso dolorosa e a una sola voce che ripercorre la loro relazione intellettuale e sentimentale. Un libro che ho amato molto.