(intervista di Thais Siciliano)
Ciao Denise, prima di tutto ti chiederei di presentarti ai nostri corsisti. Come hai cominciato a tradurre e quali autori da te tradotti ami di più?
Ciao! Lavoro in editoria dal 2004 e ho iniziato come redattrice, correttrice bozze e revisora di traduzioni altrui. Ho anche fatto uno stage iniziale in agenzia letteraria dopo un corso FSE per redattore editoriale. La traduzione era all’inizio un qualcosa in più, che in un momento di crisi si è trasformata nella mia attività principale. Traduco dal russo e dall’inglese, prevalentemente narrativa per adulti e per ragazzi, ma mi è capitato anche di tradurre saggistica e di lavorare a libri di varia. Come dicevo, ho iniziato a tradurre in parallelo al lavoro di redazione. Sono sempre stata una collaboratrice interna ed esterna precaria, quindi quando mi hanno offerto di tradurre l’ho visto solo come un ulteriore modo per portare a casa la pagnotta. Mai avuto il sacro fuoco della traduzione. Il fuoco delle bollette da pagare, quello sì.
C’è qualcosa che non ti piace del tuo lavoro?
Il modo in cui viene svolto a livello contrattuale: la mancanza di diritti minimi come l’indennità di malattia, di infortunio, di gravidanza, per esempio. Ma anche la continua ricerca di lavoro. Io lo chiamo il “Giro delle Sette Chiese”: è quando finisci di tradurre qualcosa e non hai nulla poi ad aspettarti. Il vuoto mina molto la tua autostima. Sai di aver svolto un buon lavoro ma se non ti rifai viva con tutti quelli con cui hai collaborato hai l’impressione che si siano dimenticati di te. Poi, all’improvviso, come nessuno ti chiamava, sembrano svegliarsi tutti insieme. Psicologicamente è faticoso.
Diversi anni fa hai aperto il blog https://operaidelleditoriaunitevi.wordpress.com. Quali erano i tuoi obiettivi all’epoca? Il blog ti è stato utile in qualche modo?
Il blog è nato principalmente per una mia esigenza psicologica primaria: non impazzire. Sono sempre stata una persona sicura delle proprie capacità ma mi ero ritrovata da precaria di lungo corso in un mondo, quello dell’editoria, fintamente dorato, dove tutti accettavano l’inaccettabile pur di lavorarci e le capacità venivano sminuite di continuo per non rischiare che si pretendesse di tornare ad avere diritti. Una gavetta infinita della quale non bisognava parlare perché la retorica del precario sfigato non si addiceva alla magnificenza della cultura, dei libri, della letteratura. Il blog, al quale si è affiancato il sostegno della Rete dei Redattori Precari, mi ha salvato da un tracollo psicologico e credo che sia stato utile a scoperchiare le questioni di un tema fino ad allora tabù come quello del precariato editoriale. Dal punto di vista lavorativo, però, ancora mi domando se tale e tanta sincerità sia stato un vantaggio o un boomerang. Sono ancora qui, dunque forse è stato solo un bene.
Che consiglio daresti a chi vuole entrare nel mondo della traduzione?
Armarsi di tanta, tantissima pazienza e soprattutto capire in tempo se è il mestiere che fa per loro. È un lavoro che si può fare fra mille difficoltà senza svendersi, di questo ne sono certa, quindi mai partire dal presupposto che si farebbe di tutto pur di vedere il proprio nome su un frontespizio. Non è la strada giusta né per sé né per gli altri. Pretendere da subito compensi almeno dignitosi e mantenere i contatti con tanti colleghi per far circolare le informazioni. Iscriversi al sindacato Strade, per esempio, può essere un buon modo per affrontare le cose senza restare isolati.
Ti è capitato di fare proposte di traduzione? Sono state accettate?
Di proposte ne ho fatte, ma poche accettate. Credo di essere più avanti delle tendenze che vanno per la maggiore, ma è difficile farsi ascoltare in quella macchina schiacciasassi. A volte mi capita infatti di vedere tempo dopo quelle stesse proposte pubblicate da editori ai quali non ero arrivata. Una magra consolazione capire che avevo ragione. Le proposte sono però un modo per farsi notare, questo è fuori di dubbio.
Come entri in contatto con nuovi committenti?
Mando il mio cv aggiornato periodicamente, sperando di capitare nel momento giusto.
Riesci a negoziare le condizioni contrattuali o ti limiti a rifiutare le “proposte indecenti”?
Provo sempre a contrattare, non solo i compensi, ma anche i contenuti di un contratto. Se per esempio mi accorgo che non si tratta di un contratto di edizione di traduzione, lo faccio subito presente e me lo faccio modificare. Lo stesso, in caso di clausole vessatorie. A volte incontro resistenze pesanti, altre volte capisco che si tratta solo di ignoranza dal punto di vista contrattuale. Esiste una legge ben precisa per le traduzioni editoriali, sta a noi tutti fare in modo che venga rispettata. Agli inizi ero molto ignorante in materia, per questo consiglio a tutti di informarsi sui propri diritti fin da subito. Lo so che può essere motivo di scontro, ma non è forse meglio far vedere a un committente la propria competenza anche in quel campo?
Leggi sempre tutto il testo prima di cominciare a tradurre?
Assolutamente no. Attacco subito a tradurre. Sono una traduttrice-lettrice, mi piace tradurre accompagnata dalla curiosità di scoprire cosa viene dopo. Così le mie prime stesure, anche se negli anni sono nettamente migliorate, risultano un campo di battaglia sul quale agisco solo una volta terminato di tradurre. Ho un’anima da revisora e quella dell’autorevisione è la fase che amo di più.
Pensi che sia più semplice farsi notare dagli editori se si traduce da una lingua meno nota in Italia, come può essere il russo?
Secondo me, sì. Tieni presente che i traduttori dal russo non sono affatto pochi, e tutti molto bravi, mentre le pubblicazioni dal russo non sono paragonabili come numero a quelle di autori di lingua inglese, però la particolarità della lingua ti mette in risalto già di per sé. Quindi un po’ aiuta.
Infine, la domanda che tutti gli aspiranti traduttori si fanno: è possibile vivere di sola traduzione o è necessario svolgere un altro lavoro?
Ovviamente, la vita lavorativa è più semplice per chi ha altri tipi di incarichi a sostentarlo in momenti di stallo, i compensi bassi non facilitano le cose e la mancanza di accordi stabili con gli editori rende il tutto più complesso, ma c’è chi ci riesce, a fatica, ma ci riesce. Perché sia possibile per tutti, c’è bisogno che tutta la categoria si muova con il medesimo intento: non svendersi, contrattare davvero su compensi e clausole contrattuali, vedere i colleghi come un sostegno e non dei concorrenti. E lo dico anche e soprattutto alle nuove leve, per esperienza personale, garantisco che si possono avere compensi e condizioni decenti fin da subito. Per me è stato così.