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approfondimenti e interviste

Intervista a Vittoria Martinetto: la traduzione è una scuola di scrittura

(Intervista di Serena Rossi)
giorni-perfetti-raphael-montes-191x300Oltre a essere traduttrice, insegni all’Università. Come hai iniziato a tradurre? Chi ti ha introdotta in questo mondo?

È stato un incontro casuale: ho avuto la fortuna di imbattermi a mia volta in una persona determinante: Angelo Morino. Se non lo avessi incontrato chissà dove sarei (probabilmente una assistente di volo!) Era una persona di grande cultura, prima mio professore e poi un grande amico, che mi ha spronata a iniziare la carriera universitaria. Ho così avuto la fortuna di lavorare insieme a lui all’università per 23 anni. Anche per quanto riguarda tradurre, attività che Morino svolgeva parallelamente – come me ora – a quella universitaria, un giorno mi ha invitata a farlo insieme a lui. Abbiamo iniziato a tradurre a 4 mani, e poi ho preso la mia strada autonomamente, a parte alcune collaborazioni importanti. Così ho avuto una scuola di traduzione individuale, privata, privilegiata. A mia volta ho cercato di trasferire ai miei allievi universitari questo grande bagaglio che si è venuto a creare. Purtroppo le ore da dedicare a un corso di traduzione all’università sono insufficienti per impostare un buon lavoro di traduzione letteraria; ma cerco, almeno, di dare un’idea di cosa si tratta. Vorrei far capire il concetto che non basta sapere la lingua di partenza per diventare traduttori; cerco di dissuadere gli improvvisati, quelli che non pensano di dover fare un percorso, un cammino di formazione, una gavetta, insomma. Bisogna amare la letteratura, aver frequentato la letteratura così a fondo da capire i generi, gli stili, i registri, da cogliere le sfumature, ma purtroppo i giovani talvolta non lo recepiscono. Pochi arrivano con una passione per i libri e la letteratura, coltivata indipendentemente dagli studi. Ma sono proprio questi talvolta a proporsi sfrontatamente alle case editrici per tradurre, e qualche volta ci riescono, perché costano poco, ma in questo modo si finisce per screditare la professione del traduttore e, prima ancora, per fare un cattivo servizio al lettore.

Per mia esperienza personale posso dire che arrivare a produrre una traduzione richiede un lungo e meticoloso lavoro. Infatti sento chiaramente il senso del tempo che passa: ho quasi paura a rivedere le mie prime traduzioni, perché so che cambierei molte cose!

 ecue-yamba-o-web-1160x1740Che lavoro stai portando avanti adesso?

Ora sto traducendo un romanzo di Rita Indiana, una scrittrice della Repubblica Dominicana che ho già tradotto per NN una nuova casa editrice di Milano, molto dinamica e all’avanguardia, che cerca autori per nulla scontati. Rita è una cantante, che ha deciso di mettersi a scrivere, e lo fa in modo colloquiale, gergale, i suoi romanzi sono quasi dei rap. Ho tradotto “I gatti non hanno nome” (Titolo originale: Nombres y animales) e ora sto traducendo “Papi”: è la storia della figlia di un narcotrafficante, la quale mitizza il potentissimo padre come un dio essendo inconsapevole della sua vera natura. La traduzione è piuttosto difficile perché il linguaggio è gergale, è una lingua da ricreare, quella di una voce straniata e infantile, che commette errori di grammatica che vanno riprodotti in italiano, sperando che il lettore accorto capisca, come è del resto evidente dal registro, che non è il traduttore a commetterli!

 Quale lavoro di traduzione ti ha appassionata di più?

António Lobo Antunes: mi ha appassionata innanzitutto come lettrice. Racconta storie che non sono storie, ma fruga nelle viscere della condizione umana, è uno sguardo spietato e intimista, cinico, tenero e poetico al tempo stesso. Difficile definirlo in poche parole. Si tratta quasi sempre di monologhi interiori che mescolano memoria e presente. Poi c’è la strutturazione del discorso che è inizialmente difficile da cogliere, perché la narrazione passa da una voce narrante all’altra e da un piano di realtà all’altro senza soluzione di continuità, e finché il lettore non si abbandona irrazionalmente a questo flusso la troverà una scrittura difficile, mentre è proprio la scrittura più adatta a quanto narrato, ovvero l’ineffabile mondo delle pulsioni e dei sentimenti (del resto Lobo Antunes è, originariamente, uno psichiatra…). Certo, non è già una lettura facile, quindi non parlo di quanto sia difficile tradurlo, non voglio autocompiacermi, anche perché rido e piango quando lo traduco, mi ci immergo totalmente, mi ci identifico, godo profondamente. Quasi un trip… Una prosa poetica come la sua, costellata di immagini desuete, talvolta folli, è, al contempo, un grande esercizio di scrittura per chi ha il privilegio di tradurla. Io ho sempre sognato di scrivere. Ciò non significa che utilizzi il libro di un altro per farlo! Non bisogna sovrapporsi allo scrittore (cosa del resto inimmaginabile con Lobo Antunes, Dio non voglia!), ma stare umilmente due passi indietro.

7161_lantiquario_1278704589Come diceva Morino, se uno vuole scrivere un libro lo scriva e non approfitti della traduzione per farlo… E tuttavia, nel cercare di tradurre nel miglior modo possibile si impara molto anche a scrivere, soprattutto se guidati da mani esperte di grandi scrittori come lui. Io tengo molto alla fedeltà, quando traduco: ed è senz’altro più facile quando l’autore che traduciamo è un grande, che non ha cadute di stile, e non ci si sforza troppo ad aderire al suo dettato… Poi  è vero che l’atteggiamento del traduttore cambia da autore ad autore, e ad esempio nel caso di Rita Indiana ci vuole più creatività, è necessaria: la letteralità è impossibile in gran parte dei casi, e per Rita Indiana ho chiesto espressamente ai redattori della casa editrice, tutti giovani, di darmi una mano a “sporcare” la traduzione dal punto di vista gergale.

 

Hai mai incontrato difficoltà su termini particolari? Come le hai affrontate?

È proprio il caso di Rita Indiana: vai in rete, e prima o poi lo trovi qualcuno che parla del linguaggio di strada della Repubblica Dominicana. Riporto un esempio su cui sto lavorando: il termine cingasereno: i serenos in Spagna erano delle guardie che facevano la ronda di notte durante il franchismo, ora potremmo semplicemente intenderle come guardie giurate o sorveglianti; cinga viene da chingar (che in spagnolo messicano significa “fottere”), qui si parla delle servette che hanno rapporti con i sorveglianti, ma ci sono arrivata attraverso la traduzione inglese del libro: fuck watchmen. 9788807030994_quartaNel romanzo di Indiana ci sono molti casi di contaminazioni linguistiche, soprattutto anglicismi storpiati, ed è utile sapere anche l’inglese!

Cosa ti affascina di più della traduzione?

Per me è sempre una scuola di scrittura. Quando traduci devi penetrare dentro la costruzione della storia e la struttura della narrazione, ovvero nello stile e nel linguaggio scelti per raccontare quella specifica storia. Come dicevo già prima, è una grande scuola di scrittura perché la tua mano è guidata dalla mano di qualcun altro, come il padre che ti aiuta a imparare ad andare in bicicletta tenendoti il manubrio per farti andare dritto, e poi a un certo punto, forse!, riesci a pedalare da solo… Non sarà mai monotono tradurre perché ogni volta ci si trova davanti a una sfida nuova. Io non leggo mai prima il romanzo, anche se consigliano di farlo. A me bastano una cinquantina di pagine per capirne il tenore, e poi è possibile tornare indietro e correggere termini in ogni momento, e prima della consegna vengono fatte così tante letture del testo che non ho timore a confessarlo. Mi diverte di più scoprire il romanzo via via che lo traduco, è più avvincente. Se poi si tratta di un autore come Lobo Antunes, la cui opera nel complesso non è che un unico interminabile romanzo, a maggior ragione: quello che importa è la scrittura, la lingua, lo stile, non la storia! E il suo stile è inconfondibile e ormai mi è familiare.

9788807019456_0_0_787_80Quale consiglio daresti a chi vuole iniziare questa professione, o a chi vuole lasciare il proprio lavoro per diventare traduttore?

Di prendersi un classico, Il giovane Holden nella ritraduzione di Matteo Colombo, ad esempio, e la traduzione precedente e metterle a confronto; per lo spagnolo basta leggere Manuel Puig tradotto da Cicogna e da Morino. Guardare se di un romanzo c’è più di una traduzione, confrontare le prime tre pagine, e ragionare su questo: il lavoro di confronto tra varie traduzioni ti fa riflettere più di quanto ti faccia riflettere un saggio teorico. Si osservano le diverse scelte fatte dai traduttori. Non per massacrare la traduzione precedente, ma per capire il percorso del nuovo traduttore e cosa lo ha portato a modificare taluni dettagli, a rimodulare il tono, ecc., eccettuando le pure scelte dettate dal gusto.

In “Le mani sporche”, Angelo Morino dice: “chi teorizza non traduce, e chi traduce non teorizza”. Prima la pratica, e solo dopo i saggi sulla traduzione possono servire, perché nel frattempo hai attraversato difficoltà, fatica, problemi concreti. Io ho letto Steiner, Eco, Venuti, ecc. ma la teoria non aiuterà mai nessuno a tradurre, e a sua volta la pratica può rivelare a un giovane che non è fatto per tradurre e che deve dedicarsi ad altro…

Infine bisogna specializzarsi. Morino accettava solo libri che amava, e che era anzi lui stesso a consigliare alle case editrici. Quest’estate mi è capitato di accettare la traduzione di un romanzo un po’ fuori dalle mie corde, un romanzo semplice e lineare che non mi ha emozionata, che altrimenti non avrei letto. Credo di averlo fatto per denaro, lo confesso. E’ comunque stata una buona scuola tornare a un dettato più classico, si impara anche così. Ma non mi capita spesso di accettare traduzioni in cui non credo fino in fondo, perché grazie a Dio ho un altro lavoro.

Direi poi agli studenti che non importa con che mezzo arriviamo a capire il significato di qualcosa, usiamo anche la rete, ma in modo intelligente e selettivo – come si fa con i dizionari – invece non fidiamoci troppo, anzi mai, dei forum. Per concludere i consigli, è auspicabile conoscere più di una lingua; se traduco dallo spagnolo, posso verificare come un termine o un’espressione vengono risolti in altre lingue dai traduttori di quello stesso romanzo.

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