(intervista di Thais Siciliano)
Ciao Sara, prima di tutto ti chiederei di presentarti ai nostri corsisti. Che genere di libri traduci e qual è l’opera che ti è piaciuto di più tradurre?
Ciao, lavoro nel settore dell’editoria da 15 anni e mi occupo di traduzione, redazione e gestione di progetti. Ho tradotto (quasi) di tutto, dai coffee-table books, ai manuali universitari, ai libri di arte, ma soprattutto libri del cosiddetto settore non-fiction (che racchiude la “varia”: libri che possono definirsi “saggistica”, ma che hanno livelli di complessità e target di lettori molto variegati).
I libri che ho amato tradurre sono stati tanti, ma dovendone scegliere uno, cito «No Easy Day», di Mark Owen, perché ha sancito l’inizio della mia collaborazione e della mia amicizia con Laura Tasso, con la quale, negli anni, ho stretto un rapporto molto forte e fruttuoso.
Come hai cominciato a tradurre per l’editoria?
Durante il master post-laurea, un traduttore professionista che conosco (e che traduce verso l’inglese) mi ha segnalata a una casa editrice che cercava qualcuno per tradurre un manuale universitario in italiano. Da lì, tutti i canali lavorativi sono stati aperti dal circolo virtuoso delle segnalazioni di colleghi, un metodo nel quale credo molto e che io stessa ho ampiamente adottato, segnalando a mia volta tanti colleghi a diversi editori.
Pensi che ci sia ancora spazio per nuovi traduttori sul mercato?
Certamente sì. Sono convinta del fatto che, anche nei settori più di nicchia del mercato, ci sia sempre spazio per nuovi talenti e professionisti. Per di più, in Italia si traduce tantissimo e gli ambiti nei quali specializzarsi sono più di quelli che di solito si pensa.
Che cosa consiglieresti a un aspirante traduttore?
Qui potrei scrivere un libro! Scherzi a parte, consiglio di misurarsi con il mestiere nel concreto. Questo suggerimento apparentemente striminzito contiene un mondo: occorre conoscere il panorama editoriale italiano, sapere come funzionano una casa editrice e la filiera del libro, allenarsi tantissimo (sarò sempre grata a un mio insegnante che una volta disse che la traduzione è come un’attività sportiva, la cui curva di rendimento aumenta con la pratica), tenersi informati, leggere, darsi una visibilità con i potenti strumenti di cui siamo dotati oggi (la Rete!), seguire corsi, conoscere altri traduttori, specializzarsi.
E avere sempre un piano B, cioè avere un lavoro che, mentre ci si consolida nella professione (o la si impara), permetta di mantenersi. In caso contrario, il rischio è quello di svendersi e di perdere l’entusiasmo.
Un ultimo, ma non per questo meno importante, fattore è: considerare la traduzione come un lavoro alla stregua di qualunque altro.
C’è qualcosa che non ti piace del tuo lavoro?
A volte mi pesa la solitudine.
Ti è capitato di fare proposte di traduzione? Sono state accettate?
No, non ne ho mai fatte. Ne ho abbozzata una, ma non l’ho portata avanti. Me n’è sempre mancato il tempo (perché ero troppo impegnata a tradurre, il che naturalmente è un’ottima motivazione).
Però ti racconto in poche parole la storia di quella che avevo abbozzato ma non ho portato avanti: avevo individuato un libro bellissimo, l’avevo letto, avevo deciso a quale casa editrice proporlo e avevo iniziato a tradurlo. Il tempo, però, aveva remato contro e, qualche settimana (o forse mese) più tardi, scoprii che la casa editrice alla quale avevo pensato stava pubblicando quel libro. Non nascondo che la delusione fu forte, ma il libro è uscito nella traduzione migliore che potesse avere, quella di Isabella Zani, che ha tutta la mia stima (e che ha fatto un lavoro eccelso).
Questo però non deve scoraggiare le persone a fare proposte di traduzione, una pratica nella quale credo molto.
Leggi sempre tutto il testo prima di cominciare a tradurre?
Mai fatto (il famoso tempo tiranno di cui sopra). Alcuni colleghi sostengono di non farlo di proposito, perché temono che questo li influenzerebbe nella resa. Il problema non si pone con la saggistica, anzi, credo aiuterebbe molto, ma non mi sono mai trovata nelle condizioni oggettive di poterlo fare.
Quali sono le doti fondamentali da possedere per tradurre saggistica?
Talento a parte, una grande curiosità mista a rigore. Si devono fare mille ricerche, senza mai dare nulla per scontato (nemmeno che l’autore non faccia errori!). Capacità di adattarsi al tono dell’autore, proprio come nella narrativa. Voglia di imparare cose nuove e a volte molto lontane dalle aree tematiche di nostro interesse.
Quali strumenti utilizzi per il tuo lavoro?
Oltre a tutte le risorse online possibili e immaginabili (dizionari, glossari, enciclopedie…), sfrutto senza vergogna le conoscenze e le competenze di amici, parenti e sconosciuti (una volta ho telefonato a un punto vendita Natura Sì per chiedere delucidazioni su un prodotto per vegetariani, tanto per dirne una). Penso di avere un database mentale degli hobby e delle competenze di decine di persone, e so (quasi) sempre a chi rivolgermi per risolvere dubbi sulle materie più svariate*.
*Nota importante: con questo non sto dicendo che mi azzarderei a tradurre un libro su un argomento lontanissimo da me (per esempio, un manuale sul golf), ma che, quando in un libro viene menzionato un argomento lontanissimo da me, mi rivolgo a uno specialista. (È davvero essenziale saper dire no a una proposta che non sapremmo gestire. In altre parole, non accettate un libro sul golf, se almeno non ne masticate il lessico!)
Secondo te si può vivere di sola traduzione o è necessario avere un altro lavoro?
Si può certamente vivere di sola traduzione, ma a due fondamentali condizioni: sapersi gestire molto bene in termini di scadenze e resa giornaliera, e non svendersi con la falsa convinzione che “da qualche parte bisogna pur cominciare” (il che è vero, ma “da qualche parte” non significa tradurre per cifre inaccettabili).