(intervista di Rossella Monaco)
Ciao Manuela, prima di tutto vuoi presentarti ai nostri corsisti? Come hai cominciato a tradurre, e quali autori da te tradotti ami di più?
Ciao a tutti, sono una traduttrice editoriale e mi occupo di narrativa, non-fiction e cataloghi d’arte. La mia prima esperienza sul campo è stata nel 2008. All’epoca frequentavo un corso di laurea specialistica in traduzione, e ho avuto l’occasione di tradurre un romanzo a quattro mani durante uno stage formativo. È stato allora che mi sono convinta di avere intrapreso la strada giusta. Poi ho sostenuto una prova per una casa editrice in cerca di nuovi traduttori, e ne è nata una collaborazione che continua ancora oggi. Tra gli autori che ho tradotto in questi anni, alcuni mi hanno arricchita in modo particolare. Penso a Paul Kalanithi, alla delicatezza struggente della sua voce nell’autobiografia postuma Quando il respiro si fa aria (edita da Mondadori). Penso alla potenza narrativa di Louise Doughty, di cui finora ho avuto il piacere di tradurre tre romanzi per Bollati Boringhieri, e alla prosa sublime di Claire Messud.
Quali doti dovrebbe avere secondo te un buon traduttore?
Credo che per tradurre, almeno in ambito letterario, servano passione, creatività, pazienza e dedizione. Passione e creatività sono la linfa vitale di questo mestiere, e il suo pregio più grande. Ma un traduttore lavora per settimane o mesi sullo stesso testo, leggendo e rileggendo le stesse frasi, e deve tenere alta la concentrazione fino alla fine perché ogni singola parola merita la massima attenzione. Deve saper ascoltare l’opera per coglierne e trasmetterne il tono, gli intenti, le sfumature. Inoltre non può mancare una sana curiosità, quella che lo porta a informarsi sull’autore, a leggerne le opere precedenti quando è possibile, ad approfondire gli argomenti che non conosce, e a cimentarsi anche in generi diversi.
Dove preferisci lavorare quando traduci?
Riesco a tradurre solo a casa. È importante lavorare in un ambiente in cui ci si sente a proprio agio. C’è chi preferisce stare in mezzo alla gente o avere musica in sottofondo. Io vivo la traduzione come un momento intimo, fatto di tranquillità e silenzio, e altrove mi riuscirebbe senz’altro più difficile.
Come si fa la revisione di una propria traduzione?
Comincio sempre confrontando il testo originale e la mia traduzione parola per parola, in modo scrupoloso. È incredibile quante piccole cose possano sfuggire a una prima lettura, aggettivi, sfumature di significato, a volte intere frasi! A questo punto rileggo il testo altre due o tre volte, e se posso faccio una pausa tra una e l’altra per sgombrare la mente. È una fase cruciale per dare alla traduzione la sua veste definitiva, e tempo permettendo sarebbe molto utile rileggerla ad alta voce, in modo da coglierne il suono e il ritmo.
Che rapporto hai avuto fino a oggi con le redazioni con cui hai collaborato?
Finora ho sempre incontrato persone disponibili e professionali con cui ho instaurato rapporti di fiducia duraturi. Un’editor in particolare mi ha sostenuta fin dall’inizio e ancora oggi riesce a tirare fuori il meglio di me. A volte ho anche la possibilità di dialogare direttamente con i revisori, e trovo che sia un utile momento di scambio e di crescita.
Quali le difficoltà più grandi anche a livello pratico per chi svolge questo mestiere?
La prima difficoltà che ho incontrato è stata quella di ottenere un flusso di lavoro costante e tariffe dignitose. Chi vive di sole traduzioni, come me, deve coltivare una serie di collaborazioni per evitare i tempi morti e l’ansia che ne consegue. Agli inizi può sembrare problematico ma con il tempo, le esperienze e il passaparola è possibile costruirsi una buona rete di contatti e avere una certa stabilità. Un altro aspetto insidioso è dedicare a una traduzione il tempo e l’impegno necessari. Troppo spesso le scadenze sono serrate e non permettono al traduttore di approfondire, informarsi, leggere quanto vorrebbe. È fondamentale gestirsi bene, trovando e assecondando i propri ritmi di lavoro. Io ad esempio sono molto più produttiva al mattino e alla sera, nel pomeriggio ho un calo fisiologico e preferisco staccare quando mi accorgo che sto perdendo la concentrazione.
Qual è la cosa che ami di più di questo lavoro? E quella che ami di meno?
La cosa che più mi affascina è che non c’è un giorno uguale all’altro. Non ho mai la sensazione di fare un lavoro ripetitivo, ogni passaggio da tradurre comporta sfide diverse, ogni opera mi proietta in un universo totalmente nuovo. La traduzione in sé è un mestiere solitario, e questo in certi momenti può pesare, ma allo stesso tempo si instaura un dialogo costante con l’opera e il suo autore, e non c’è compagnia più stimolante.
Nel tradurre narrativa, quanto il traduttore dovrebbe conoscere le tecniche e i passaggi che hanno portato alla creazione dell’opera? In che percentuale dovrebbe farsi “scrittore”?
Un buon traduttore è prima di tutto un avido lettore, perché per tradurre (in ambito letterario in particolare) serve una conoscenza approfondita di tecniche ed espedienti narrativi e stilistici. In fase di “scrittura”, la sua libertà creativa è limitata dalla necessità di rispettare le intenzioni dell’autore, anche di fronte a una prosa in cui non si riconosce o a scelte che non condivide. Non è sempre facile, e il margine d’azione varia enormemente da un caso all’altro, ma sta alla sensibilità del traduttore capire quando porsi un freno per non snaturare l’originale.
Leggi sempre tutto il testo prima di cominciare a tradurre?
No, di solito leggo solo qualche capitolo per farmi un’idea. È una scelta dettata soprattutto da ragioni di tempo, ma è anche un modo per non lasciarmi influenzare in fase di traduzione e mantenere vivo l’interesse fino alla fine. I testi presentano spesso rimandi, simmetrie, ripetizioni, e in questo senso aiuterebbe leggerli subito per intero, ma in fondo ho a disposizione l’intero processo di revisione per aggiustare il tiro e sistemare quello che non quadra.
Su cosa stai lavorando in questo momento?
Al momento sono alle prese con due opere autobiografiche, entrambe al femminile ma con uno stile e un approccio totalmente diversi. Amo tradurre autobiografie, ho come la sensazione di instaurare un legame più autentico, più intimo con l’autore, una sorta di immaginario scambio di confidenze che dà ancora più intensità all’atto del tradurre.
Una risposta su “Intervista a Manuela Faimali: un buon traduttore è prima di tutto un avido lettore”
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La nostra intervista alla traduttrice editoriale Manuela Faimali!