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Intervista al traduttore Marco Amerighi: tradurre è procedere per tentativi alla ricerca della perfezione

Ciao Marco, grazie di aver accettato l’intervista. Iniziamo con una domanda relativa ai tuoi esordi: quando hai capito di voler fare il traduttore editoriale? E come hai iniziato?

Ho sempre pensato che avrei fatto il ricercatore o il docente universitario ma, dopo il dottorato, ho sentito il bisogno di cercare nuovi stimoli, ho cambiato città e sono approdato all’editoria. All’inizio ho lavorato come consulente esterno per la letteratura straniera, finché un giorno un editor di Feltrinelli, conoscendo la mia formazione accademica, mi ha proposto una prova di traduzione. Andò bene e tradussi il mio primo libro, un noir di una scrittrice catalana. È stato allora che mi sono reso conto che tradurre era la naturale prosecuzione dei miei studi, un modo per mettere a frutto le mie esperienze passate; in un ambiente che mi rispecchiava più dell’università.

Quali sono le difficoltà maggiori che si incontrano nella traduzione di testi di narrativa?

La narrativa richiede una grande capacità di mimesi con il testo da tradurre. Il traduttore ha l’obbligo di calarsi nella storia e restituirla, nella maniera più invisibile possibile, non soltanto nel significato e nella sintassi, ma anche nello stile. Molti testi di narrativa chiedono al lettore di manipolare la lingua per restituire giochi di parole o termini tecnici che nella lingua di arrivo mancano, o di scavarla per tirar fuori parole dimenticate e cadute in disuso. Se a queste difficoltà si somma il pensiero costante che una buona traduzione deve anche essere in grado di restituire la voce di un romanziere, la faccenda si complica ulteriormente. Per questo, anche quando avrà consegnato una bella traduzione, il traduttore avrà sempre il dubbio che una parola, una frase o un periodo avrebbe potuto essere sciolto “in un modo migliore”… Forse è proprio questa la difficoltà maggiore nel tradurre narrativa: riconoscere che non siamo davanti a un’equazione e che non troveremo mai una soluzione definitiva, ma che continueremo a procedere per tentativi e approssimazioni, risolvendo dubbi e confutando le nostre stesse decisioni, alla ricerca della traduzione “perfetta”.

Come procedi nel lavoro di traduzione? Leggi prima tutto il testo originale? Parti direttamente con la traduzione? Produci una bozza iniziale e poi la rivedi più volte o crei un testo tradotto già abbastanza pronto?

Magari potessi sempre leggere tutto il testo. I tempi delle traduzioni editoriali sono spietati, perciò certe volte mi devo accontentare di una lettura dei primi capitoli, accompagnata da uno studio dei materiali informativi (schede di presentazione di agenti o case editrici, recensioni on-line…) Conclusa questa fase, produco una prima traduzione completa. Quindi la stampo e inizio il confronto con il testo originale, parola per parola, frase per frase. La terza fase è una rilettura improntata esclusivamente alla scorrevolezza dell’italiano; anche se questo non significa che non possa capitare di avere un’illuminazione su un termine e di apportare delle modifiche in extremis.

Quali sono gli attributi che un buon traduttore editoriale deve avere, secondo te?

Per prima cosa un’ottima conoscenza dell’italiano, che si raggiunge solo in un modo: leggendo e studiando. La lingua cambia e il traduttore deve stare al passo coi tempi. Accanto al bagaglio tecnico, ci sono poi la pazienza, la perseveranza e la capacità di restare concentrati a lungo su una stessa problematica. Ah, e una certa propensione alla solitudine: un testo da tradurre va prima di tutto ascoltato attentamente e il silenzio aiuta a non farsi sfuggire nulla.

È il tuo unico lavoro o lo devi affiancare ad altro?

Per anni l’ho affiancato a molti altri lavori, dall’editing al copywriting. Da un paio di anni è, di fatto, diventato il mio unico lavoro.

Quali consigli daresti a chi vuole intraprendere questa carriera?

Non pensare che esistano soltanto i “Grandi Romanzi”. Tradurre qualunque cosa, un racconto erotico su una rivista on-line, un manuale di self-help, una guida per prodotti macrobiotici… la letteratura è una montagna a cui bisogna arrivare con molti chilometri nelle gambe.

Hai delle collaborazioni fisse o cambi spesso committente? Come sei entrato in contatto con i tuoi committenti attuali?

Ho alcune case editrici con cui lavoro da anni, ma cerco sempre di propormi a nuovi datori di lavoro. Ogni casa editrice ha un modo diverso di lavorare e un catalogo diverso, e per il traduttore è bene esplorare il più possibile. Il modo con cui si inizia è sempre lo stesso: prove di traduzione. Si bussa alla porta, ci si propone, si consegna il lavoro di prova e si attende. Da una delle case editrici con cui oggi lavoro di più, ho dovuto aspettare un anno prima che mi consegnassero il primo testo da tradurre. Bisogna avere pazienza… l’avevo già detto?

Che rapporto hai avuto negli anni con i tuoi revisori?

Purtroppo non mi è capitato spesso di lavorare con i revisori. Le rare volte in cui è successo, mi sono trovato di fronte persone preparatissime, con grande esperienza e conoscenza della lingua. Come ho già detto, i tempi editoriali sono rapidi (troppo) e spesso impediscono un dialogo tra tutti i meccanismi dell’ingranaggio.

L’opera e l’autore con cui ti sei sentito più in sintonia?

Doppio Fondo di Elsa Osorio, pubblicato quest’anno da Guanda. Un romanzo sui desaparecidos argentini, un testo unico per coraggio e stile. La sintonia è nata all’improvviso. Un giorno l’autrice mi scrive e mi dice che deve assolutamente modificare alcuni paragrafi: “Non mi piacciono, non ho idea del perché li ho scritti”, dice. La data di consegna si avvicinava e io ero terrorizzato all’idea di dover tornare a tradurre al volo chissà quante nuove pagine non previste. Quando ho letto la versione definitiva, è stato uno shock: il romanzo, che già ritenevo splendido, era migliorato; era perfetto. In quel momento ho capito che avevo davanti una scrittrice dal talento sconfinato.

Su cosa stai lavorando oggi?

Ho appena consegnato un auto-fiction di una scrittrice e critica d’arte argentina, María Gainza, che uscirà in autunno per Neri Pozza. Il libro unisce aneddoti famigliari crudi e commoventi a una lettura personalissima di alcuni capolavori dell’arte, dal Mar in burrasca di Courbet agli autoritratti di Fujita, passando per la letteratura di Truman Capote e di Henry James. Un testo originalissimo, dalla scrittura splendida, che sono convinto piacerà molto.

 

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