Buongiorno, Marina, parliamo un po’ di te. Traduci prevalentemente narrativa o saggistica? Vuoi nominare qualche opera da te tradotta?
Traduco quasi esclusivamente narrativa, anche se in passato ho tradotto parecchi articoli divulgativi per il mensile Wired, che parlavano di scienza, o di informatica. Tra le opere che ricordo con maggiore affetto ci sono i romanzi di Israel Joshua Singer, in particolare ho amato tantissimo “A Oriente del Giardino dell’Eden” empatizzando con il povero ebreo dello shtetl diventato comunista. E poi sono affezionata alla serie di gialli con protagonista Agatha Raisin – l’autrice Marion Chesney è morta di recente, che tristezza!
Come ti organizzi nel tuo lavoro? Hai un modus operandi?
Non ho un modus operandi, e neanche un orario. Se il lavoro è grosso, calcolo quante pagine ne devo tradurre al giorno, come minimo: poi in genere ne traduco molte di più, quindi il calcolo è del tutto inutile e serve solo a rassicurarmi.
Dove preferisci lavorare quando traduci?
Ho la mia postazione in salotto, se alzo gli occhi vedo le montagne.
Qual è la cosa che ami di più del mestiere del traduttore? E quella che ami di meno?
Il fatto di non avere orari stabiliti, o tempi morti è la cosa che mi piace di più. Quella che amo di meno è che si guadagna abbastanza poco in relazione allo sforzo.
C’è un autore che sogni di tradurre o un romanzo in particolare?
Prima o poi mi piacerebbe tradurre un “giallaccio”, di quelli pieni di morti ammazzati in modo truculento, tanto per cambiare.
È possibile vivere di sola traduzione editoriale, a tuo parere? Lo faresti?
Sì, è possibile. Non lo farei perché detesto la monotonia nel lavoro, mi piace diversificare.
Qual è la difficoltà più grande che incontri traducendo?
I giochi di parole sono sempre complicati, anche se mi piacciono. Di recente mi è capitato di tradurre un giallo psicologico nel quale non venivano date indicazioni sul sesso dell’assassino (l’ambiguità era necessaria). Mantenere la neutralità in italiano non è stato affatto facile, ho dovuto fare degli equilibrismi per evitare di scoprire le carte, tradendomi con aggettivi “sessuati”.
Che rapporto hai avuto fino a oggi con le redazioni con cui hai collaborato?
Quasi sempre ottimi.
Hai sempre saputo di voler fare la traduttrice, o ci sei arrivata per caso?
Ci sono arrivata assolutamente per caso, facevo la giornalista e mi piaceva tradurre gli articoli che arrivavano dai collaboratori anglosassoni, così un giorno sono salita negli uffici della casa editrice che pubblicava il nostro giornale, ho chiesto che mi facessero provare a tradurre un romanzo… la prova è piaciuta molto, e così quando ho perso il mio posto di lavoro in circostanze abbastanza drammatiche e dolorose… mi sono trovata con un’alternativa praticabile, e mi ci sono tuffata a pesce.
Su cosa stai lavorando in questo momento?
Ho appena finito una delle avventure di Agatha Raisin, e sono in pausa traduttoria, perché sto lavorando su due libri di storia, dei quali sono autrice…